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Sempre i vecchi cognomi.
Una volta avevano messo un pezzetto di carta. Giallino. Pallido.
Poi si è sbiadito.
Poi si è staccato.
E niente.
Gertusio. Trixi. Persiol.
La settimana scorsa sono andato a Oslo.
Con Gertusio.
A trovare Trixi.
Trixi ha fatto 40 anni.
Abita da 17 in Norvegia, con Piccone.
Piccone era mia compagna alle superiori.
Si sono conosciuti grazie a me.
Non so perché ho dovuto dirlo.
Hanno una bimba di 4 anni.
Parla norvegese e italiano.
E inventa parole inglesi tipo uainappett.
Siamo stati qualche giorno da loro.
È stato strano.
Facevamo colazioni familiari.
E stavamo sul terrazzo a parlare di quando non facevamo colazioni familiari.
Oslo è freddina.
Con nuvole basse e prezzi alti.
Le birre costano 12/14 euro. Tranne a Los Tacos.
Ci sono saune di legno galleggianti sul mare.
E una biblioteca pubblica con dentro una rumorosa stanza del silenzio.
– Ohhh.
– Ohi.
BBZZZZ
Chissà che fine ha fatto Persiol.
Gocce-di-Salvezza sta nella stanza di Trixi-Bio-Mary.
In quest’ordine.
Ha il soppalco dove c’era il divano.
Dei quadri dove c’era uno specchio.
Una lampada gialla a forma di lampada gialla dove c’ero io. Seduto. Con Trixi dietro a farmi i dread.
Le crepe sul muro sono le stesse.
– Ciao Andre!
Abbraccio.
Cucina.
Zana. Cinque e pugnetto.
Gabri. Bacio rumoroso sulla guancia.
Birra.
Parliamo di cazzate. Mi hanno rubato la bici.
Canna.
Gocce-di-Salvezza finisce di spadellare.
Si siede.
GNIIICCCCCC
Queste sedie cigolano.
GNIIICCCCCC
Cigolano appena ci pensi.
GNIIICCCCCC
Le abbiamo trovate io e Trixi anni fa.
In una casa che doveva avere mobili di design.
Simo aveva detto – se vuoi c’è sta casa piena di roba. Il tipo dice che se la svuoti puoi tenerti quello che vuoi. L’ho vista. Ci sta. I mobili sono fighi. Di design.
La mattina dopo ero puntuale.
Trixi era venuto per darmi una mano. E poi dai. A lui ste cose piacciono.
Simo no. Simo non aveva cazzi.
Il tipo della casa ci viene incontro mezzo ubriaco.
Sbiascica qualcosa tipo – ora cerco di entrare – e si mette a parlare al cellulare.
Ha la classica voce degli shoppini. Quella che parte profonda in gola. Ma diventa vocina tenera in bocca.
Si muove lento. Si tocca la faccia. La barba.
Pare confuso.
Per un po’ sta zitto. Guarda fisso il tombino.
Poi dice – eh no, minkia!
Sempre con quella vocina buffa del cazzo.
Silenzio. Tombino.
Gli facciamo dei gesti. Lo aspettiamo al bar.
Caffè.
Brioches.
Cannetta.
Shoppino ci raggiunge sulla panchina. – Minkia… un casino. Ma ora entriamo. Ho chiamato i pompieri.
– Come i pompieri?
– Eh sì. Minkia. Non ho le chiavi.
– E non possiamo andare a prenderle?
– Eh no. Mai avute.
– Ma non è casa tua?
– Eh no. Di mio fratello. Solo che
E boh.
Giù a raccontarci robe di famiglia.
Partendo da nonno Pino e nonna Pinella, che gli facevano pomodori e cipolla rossa per cena.
E poi zii. Cugini. Genitori. Tipe.
Quando arriva al fratello balbetta. Si ferma. Cambia discorso. Ci ritorna. Fuma. Tossisce.
Ci tiene molto a spiegarci quanto è stronzo.
Ma fa fatica.
Si vede.
Arrivano i pompieri.
Shoppino gli va incontro.
Parlano un po’.
Gesticola lento. Con la faccia lamentosa. E tante pause.
Pompiere no.
Pompiere gesticola deciso. Sicuro. Da uno che ha risposte nella vita. Tira fuori un foglio.
Shoppino si perde.
Tombino.
Parla solo più il pompiere.
Siga.
Shoppino si ripiglia.
Torna alla nostra panchina. – Ora chiamo mio fratello e la risolviamo.
Poi barcolla un po’ più in là a chiamare.
Arriva Pompiere. – E voi chi siete?
Alzo le spalle. – Nessuno.
– No. Dico. Conoscete il signore?
– Non proprio. Dobbiamo svuotargli casa.
– Mi sa che oggi non la svuotate.
Pausa.
Silenzio.
– Ok.
Non è soddisfatto. – No. È che non possiamo entrare. La casa non è sua. Per entrare servono
Boh. Non so. Dice cose.
– Ok.
Siga.
Poi non so cos’è successo.
Passa tipo un’ora.
Io e Trixi facciamo panchina-bar. Siga-birra.
Shoppino litiga col fratello al cellulare.
Pompiere con Shoppino.
Non so.
Comunque.
Alla fine si inizia.
Pompiere dice che passano dal balcone. Per non rompere la serratura della casa.
Lo dice a me.
– Ok.
Tirano su una scala alta alta.
Poi salgono.
Salgono.
Salgono.
E saltano sul balcone del quinto piano.
Trafficano un po’ con la tapparella. Con la finestra.
E poi non li vedo più.
Tornano giù dalle scale.
Pompiere guarda Shoppino mezzo schifato.
Viene verso di noi. – Ma voi siete mai entrati lì dentro?
– No.
– Ragazzi, secondo me gli dovete dire che ve ne andate. È uno schifo.
Non rispondiamo.
I pompieri se ne vanno.
Shoppino ci lascia il numero e se ne va.
Canna.
Saliamo.
La porta è socchiusa.
Apro.
Odore di sbocco e merda.
Cartacce di giornali fino al ginocchio.
Pure il buio non ce la fa più.
Accendo la torcia del cellulare.
Copro naso e bocca con la felpa.
Entriamo.
Le cartacce arrivano al ginocchio ovunque.
Nel corridoio.
In camera.
In camera ricoprono pure il letto.
Ci sono merde tra i giornali.
E merde contro i muri.
Trixi dice che sono merde umane.
Ma io non so.
Comunque di sicuro ci sono merde contro i muri.
Trixi dice di fare attenzione alle siringhe.
Avanziamo tra le cartacce senza alzare i piedi.
Cucina.
Illumino.
Tutto come in camera.
Ma ci sono anche robe marce e incrostazioni.
E mosche.
Diamo un occhio ai mobili di design.
Mobili merdosi ricoperti di merda.
Aperti. Distrutti.
Guardo Trixi.
Si guarda intorno frastornato.
Cerca un senso.
Simo è sempre stato pazzo. Ok.
Ma cazzo.
Non si rassegna.
Avanza nel buio con le braccia larghe. Per darsi equilibrio.
Arriva in fondo al corridoio.
Apre una porta. – Vieni Andre.
Lo raggiungo.
Illumino.
Pensavo a un cadavere.
Ma no.
Solo uno sgabuzzino.
Uno sgabuzzino perfetto. Pulito. In ordine.
Con tante cosucce impilate in modo maniacale sulle mensole.
Trixi inizia a cercare.
Io prendo una foto.
Shoppino non sembra uno shoppino.
È giovane. Sorride. Indica qualcosa sul mare.
Accanto a lui un tipo. Ha la faccia contenta. Guarda meravigliato dove indica il dito di Shoppino.
Per me è il fratello.
Poso la foto.
Inizio anche io a cercare.
Trixi trova una Katana. Con il manico nero e tante incisioni argentate.
Io un robo di plastica tondo a forma di gallina. Di quelli che ci metti le uova dentro e giri. E poi l’uovo diventa sodo.
È ancora dentro la sua scatoletta.
Lo prendo.
Abbasso lo sguardo.
Impilate contro il muro ci sono 4 sedie bianche. Di legno. Pieghevoli.
Le mostro a Trixi. – Non ti servivano delle sedie?
Le osserva con attenzione. – Sì. Prendiamole.
Cerchiamo ancora un po’.
Ma niente.
Poi Trixi dice – birretta al Chioschetto?
Annuisco. – Birretta al Chioschetto.
Quando usciamo ci tiriamo la porta dietro.
Per non far entrare i ladri.
GNIIICCCCCC
Gocce-di-Salvezza si appoggia allo schienale della sedia.
GNIIICCCCCC
La sedia della casa del fratello di Shoppino.
GNIIICCCCCC
Già.
GNIIICCCCCC
Ma per lui è solo una sedia bianca.