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Alla fine pizza.
Non volevano.
Che se non cucini non è una cena vera.
Ma nessuno aveva cazzi oggi.
Mamma non mangia.
Mastica.
CHOMP CHOMP CHOMP
Una volta ho letto che c'è una religione.
O una filosofia.
Non so.
Comunque.
Che dice che dovresti masticare 32 volte prima di inghiottire.
Forse le volte erano 31. O 33. O giù di lì.
Non importa.
Non so nemmeno perché questa religione. O filosofia. Lo consigliava.
Io ci ho provato molte volte.
E non sono mai riuscito.
Il pezzo si sbrindella. Ti aumenta la saliva. E non ti viene voglia di inghiottire una roba così.
Vabbè.
Era solo per dire che Mamma oggi mastica tanto.
Più di 32 volte. O 31. O 33.
CHOMP CHOMP CHOMP
Se ne sta lì.
Con gli occhi lucidi.
A martoriare con la forchetta un povero pezzo di mozzarella.
Lo gira. Lo rigira.
CHOMP CHOMP CHOMP
Infermiera è molto più sul pezzo.
È già a metà pizza.
Mangia come una che ha fame. Come una a cui non frega un cazzo. Come una che sta solo pensando “Madonna che cena di merda! Non vedo l'ora di andare da Carlo”.
Lei non mastica.
Strappa con la bocca pezzi di quattro stagioni e inghiotte.
Così.
Un po' come me.
Ma con meno contegno.
Volano ovunque carciofini e prosciutto e olive e funghi e sugo.
Così no. Così non mi piace.
Si fa un casino disordinato.
E a me non piace il casino disordinato.
Mi piace molto quello ordinato. Ha un che di stiloso.
Ma disordinato no. Proprio no.
CHOMP CHOMP CHOMP
Io ho una tecnica precisa.
Roba studiata in anni.
Parto tagliando la pizza a metà.
E fin qui ok.
Poi taglio in fette. Di solito quattro per parte.
Poi il segreto.
Prima di prendere il pezzo in mano...
Vabbè. Spoiler. Alla fine prendo il pezzo in mano.
Ma prima. Ecco. Prima. Taglio la punta della fetta e la mangio con la forchetta.
Perché la punta della fetta è instabile. Poi cola tutto. E ti sporchi la faccia. E tutto cade nel piatto.
E a me non piace il casino disordinato.
Dopo prendo la fetta senza punta. La piego con le mani. E faccio un boccone per la parte con il condimento. Due o tre per il cornicione.
È un metodo molto funzionale e poco disordinato.
Mi piace.
Ah.
La mia pizza è la salsiccia e gorgo senza mozzarella.
Sempre.
CHOMP CHOMP CHOMP
Nonna non ci prova nemmeno.
Ma vabbè. Ci sta.
Lei manco doveva alzarsi.
Ha detto qualcosa tipo - voglio anche io la pizza.
Anche se suonava più “voglio sentirmi ancora parte di qualcosa”.
Nessuno ha avuto cazzi di dirle no.
Già.
Mi sa che non la finirà la marinara.
CHOMP CHOMP CHOMP
Mi fa strano vederla così.
Con la faccia smunta. Scavata.
Gli occhi nel passato.
Perché nonna è una cazzuta.
Una che quando Nonno ha detto che non voleva una lesbica in casa lo ha preso a schiaffi e se n'è andata.
Con Mamma e Zia.
Fa un sacco di cose strane.
Robe tipo pendolo. Energia delle pietre. Carte.
A noi non ha mai letto le carte. Dice che ha paura di leggerle ai familiari.
Però l'ho vista.
È brava.
Cioè.
Non so se ci prende.
Però parla con quella sua voce ipnotica. Quella che ti consola.
Piangono sempre tutti quando Nonna fa le carte.
Quando ero piccolo mi veniva a prendere.
Casa sua.
E poi preparava roba crasta.
Tutto era crasto.
Pure l'insalata. Ci buttava dentro chilate di maionese.
Dragonball.
Poi andava a dormire. Che di notte faceva i turni ai vecchi.
E io andavo nello studio.
Lo studio era figo.
C'era una scrivania circolare che ti circondava.
E dietro un botto di libri.
Libri su Atlantide. Triangolo delle Bermude. Alieni.
Per anni sono stato in fissa per sta roba.
Oggi me ne vergogno.
Ma all'epoca no.
All'epoca mi piaceva tanto leggere di rapimenti alieni nello studio di Nonna.
CHOMP CHOMP CHOMP
Sto cazzo di silenzio.
CHOMP CHOMP CHOMP
Fa uscire di testa.
CHOMP CHOMP CHOMP
Di solito non è così.
Di solito c’è un gran casino.
CHOMP CHOMP CHOMP
Di solito Mamma parla a macchinetta di cose noiose mentre sposta padelle sul fuoco e pentole sul tavolo.
Zia e la tipa commentano le storie noiose di Mamma con battute e facce buffe.
Nonna guarda lo spettacolo. Cosa è riuscita a creare. E ride tanto. Anche quando Mamma fa finta di prendersela e litiga sorellosamente.
Poi divano.
Il divano è per noi.
Nonna è una curiosa. Una che si prende bene.
Una con cui puoi lasciarti andare.
Forse per questo con lei riesco.
CHOMP CHOMP CHOMP
Ma oggi.
CHOMP CHOMP CHOMP
Oggi è tutto diverso.
CHOMP CHOMP CHOMP
Zia è in bagno.
A piangere.
A piangere senza farsi vedere. Sentire.
CHOMP CHOMP CHOMP
E poi questo silenzio.
CHOMP CHOMP CHOMP
Questo fottuto silenzio.
CHOMP CHOMP CHOMP
Ma di che parli quando è così?
CHOMP CHOMP CHOMP
Passato? Presente?
Pare tutto così poco. Così tanto.
Da non poter essere detto.
CHOMP CHOMP CHOMP
Futuro?
Dai…
Qualcuno ha davvero il coraggio oggi?
CHOMP CHOMP CHOMP
– L’altro giorno ho letto una roba.
Mamma sposta lentamente lo sguardo su di me.
Ci mette tanto.
E non mi guarda negli occhi. Mi guarda nel mento.
Per un attimo smette di masticare.
Nonna pare impassibile.
Continua a stare indietro.
Da qualche parte.
Infermiera…
Boh.
Non mi frega un cazzo di Infermiera.
– Un esperimento. Non sono certissimo di averlo letto. Forse me l’hanno raccontato.
Comunque.
Mettono due scimmie in una gabbia.
Che vabbè. Lo so.
È terribile.
Silenzio
– Dopo mettono delle banane nella gabbia.
Le scimmie ovviamente si prendono bene e vanno per mangiarle.
Ma appena si avvicinano un tipo le spruzza con l’acqua e scappano.
Mamma abbassa lo sguardo.
Torna spenta a martoriare la mozzarella con la forchetta.
Ha smesso di ascoltare a “Un”.
Ma Nonna.
Nonna no.
Si è mossa. L’ho vista.
Gli occhi.
Ora non guarda il passato.
Guarda la marinara di fronte a sé.
E ascolta.
Lo so.
Continuo.
– Ci riprovano.
Acqua.
Ancora.
Acqua.
Niente. Ogni volta il tipo le spruzza e loro scappano.
Dopo un po’ hanno capito. Le scimmie. Hanno capito che non devono andare a prendere le banane.
Quando il tipo le mette loro se ne sbattono. E niente. A posto. Niente acqua addosso.
Nonna.
Ora guarda la bottiglia in mezzo al tavolo.
– Ma la parte interessante viene ora.
Dopo un po’ tolgono una delle due scimmie. E al posto ne mettono un’altra.
Poi rimettono delle banane nella gabbia.
La scimmia che sa… diciamo scimmia A… chiaramente non fa un cazzo. Perché sa che se va a prenderle arriva l’acqua.
Ma l’altra. L’ignara. La B. Lei non sa. E va a prenderle.
E cosa succede?
Scimmia A, per impedirglielo, inizia a gridarle contro. Anche tipo ad essere un po’ violenta. Tutto per evitare che arrivi l’acqua.
E scimmia B lascia stare.
Mettono le banane ancora un po’ di volte. Per vedere.
E ogni volta B ci prova. A la mena. E B rinuncia.
Alla fine. Dopo un tot. Anche B capisce che non deve andare a prendere le banane.
Anche se non sa perché. Lei l’acqua non l’ha mai vista. Non è mai stata spruzzata.
Ora guarda la mia felpa.
– E ora l’esperimento si fa ancora più interessante.
Che poi boh.
Mi sento abbastanza un mostro…
Ma comunque.
Tolgono dalla gabbia scimmia A e al posto ne mettono un’altra. Tipo scimmia C. Una che proprio non c’entra un cazzo.
Solita scenetta.
Banane.
C va per prenderle. Non sa un cazzo.
B la mena. Non sa perché. Ma ste cazzo di banane non si devono toccare. Lo ha imparato.
E via.
Tolgono B e mettono D.
E proseguono. Proseguono.
Dopo vari giri è assurdo! Tipo a Z o giù di lì. Ci sono ste cazzo di scimmie che si menano appena escono le banane.
E la cosa più assurda è che sanno che non si devono toccare. Se lo sono insegnate. Trasmesse. Ma nessuna sa più perché!
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
Mi guardo intorno.
Mamma…
Vabbè.
Mamma non c’è più da un po’.
Infermiera è al cellulare.
Ma Nonna.
Nonna mi guarda dritto negli occhi.
E allora la vedo.
La vedo.
Quella scintilla.
La stessa di quando mi parla di sogni premonitori. O io di poker.
Già.
Quella scintilla è ancora lì.
Solo un po’ nascosta là dietro.
Finiamo le pizze.
Io e Infermiera.
Sbuca Zia.
È molto pallida.
Abbraccia da dietro Nonna.
Trattiene a fatica qualche lacrima.
Poi si accascia sul divano.
Silenzio.
Sparecchiamo.
Meccanicamente.
Buttiamo quello che c’è da buttare.
Meccanicamente.
Laviamo due stronzate.
Meccanicamente.
Silenzio.
Infermiera prepara una spremuta.
Per Nonna.
Che non mangia da.
Boh.
Da parecchio.
– Mi raccomando! La beva tutta! T U T T A !
Mentre lo dice grida.
Non so perché.
Nonna la degna appena di una smorfia.
Silenzio.
Carico Nonna sulla spalla destra.
La spremuta nella mano sinistra.
La accompagno in camera.
No.
In bagno.
Nonna mugugna qualcosa in direzione del bagno.
La accompagno in bagno.
Alla fine.
La guardo.
Mentre si guarda.
Allo specchio.
Sembra.
Sì.
Sembra che si veda.
Che si veda davvero.
Apre l’acqua.
Sfiora il getto con le mani. Lentamente.
Accarezza il viso.
Qualche gocciolina scende dalle guance. E dal naso.
Torna a guardarsi allo specchio.
Silenzio.
Allunga una mano.
Prende la spremuta che ho appoggiato sulla lavatrice.
Si ferma un attimo.
Silenzio.
Poi la versa nel lavandino.
Ricarico Nonna sulla spalla destra.
Il bicchiere vuoto nella mano sinistra.
E questa volta andiamo in camera.
L’aiuto a sedersi sul letto.
Le tolgo le pantofole.
Quelle marroni. A forma di cane.
Prima la sinistra. Poi la destra.
Le prendo dolcemente le gambe.
Le alzo.
Per aiutarla a stendersi.
Silenzio.
Alzo la coperta fino al collo.
E le accarezzo i capelli. La fronte.
Ancora.
E ancora.
E ancora.
Silenzio.
Vorrei dire qualcosa.
Ma no.
Non è vero.
Oggi no.
Ci sono state parole.
Tante.
Di gioia. Di curiosità.
D’amore.
Non ne servono per forza altre.
Le sappiamo bene.
Nonna chiude gli occhi.
Continuo per un po’ ad accarezzarle i capelli.
Bacino sulla fronte.
Silenzio.
Cammino lentamente verso la porta.
Un passo.
Due.
Tre.
Quat
– Andrea.
Mi volto.
– Non dire della spremuta…