Tempo di lettura: 15 minuti.
A 1 anno volevo le tette di mamma.
E stringere dita. E mettere in bocca roba.
Dita. Roba.
Dita. Roba.
Tette di mamma.
E anche tenere svegli tutti.
Così mi han detto.
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A 4 anni volevo sapere.
– Perché? Perché? Perché? Perché? Perché?
– Perché sì.
Volevo tenere Pandino nel letto.
Perché quando schiacciavi la pancia gli occhi si illuminavano.
Di notte era molto utile contro il buio.
Volevo dormire nel lettone.
Tra mamma e papà.
Ma solo quando Pandino non serviva.
Imparare ad allacciare le scarpe.
Andare in bici.
E il Robottino 2XL. Cazzo quanto lo volevo 2XL.
E poi l’ho avuto.
E allora volevo la pistola dei Power Rangers.
Volevo correre nel prato di casa con Maverick. E giocare a palla con Maverick.
Anche se poi la mordeva e dopo non potevamo più giocare a palla.
Ma più di tutto a 4 anni volevo la sogliola con la patate fritte.
Non so perché a 4 anni mi è preso il trip della sogliola.
Ma a 4 anni volevo la sogliola con le patate fritte.
Più di tutto.
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A 6 anni volevo giocare con Sorriso-Grazioso.
Fare l’intervallo con Sorriso-Grazioso.
Fare i compiti con Sorriso-Grazioso.
Arrampicarmi sugli alberi con Sorriso-Grazioso.
Quando le ho regalato il pupazzetto di un pinguino mi ha dato un bacino sulla guancia sinistra. Più o meno a metà.
Ho pensato fosse innamorata anche lei.
A 6 anni volevo anche vincere il Premio del Pranzo.
Quello se mangiavi tutto per un mese.
Era molto importante.
Io vincevo sempre.
Perché quando c’erano gli spinaci Sorriso-Grazioso mi aiutava.
Volevo vedere National Lampoon’s Vacation 2.
Perché a un certo punto una ragazza fa vedere le tette.
Volevo stare sul trattorino con papà quando tagliava l’erba.
E dietro. Sul retro. Quando sparava con il fucile.
Volevo costruire il fortino dei soldati in giardino.
La pizza con i wurstel.
E che Bimbo e Bimbo mi facessero amico.
Ma poi Bimbo e Bimbo mi hanno rubato una penna.
Cioè.
Non sono sicuro sicuro.
Ma credo di sì.
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A 7 anni volevo giocare ai pirati.
Nella tenda costruita da mamma con le lenzuola.
Navigare fino a Tortuga con Pandino.
Sconfiggere gli altri pirati cattivi. Issare la bandiera con il teschio.
E scavare per trovare il tesoro.
A Tortuga ero il re.
Era bello essere il re.
E poi a Tortuga non si sentivano le urla.
E il rumore dei piatti rotti.
Già.
A 7 anni volevo solo giocare ai pirati.
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A 8 anni volevo guardare il fuoco.
Accartocciare la carta. Far scricchiolare la legna.
Guardare papà che soffiava con quel coso.
E mamma. Che arrivava con una tisana calda a guardare il fuoco con noi.
Ma no.
Casa di nonno puzzava di vecchio.
Anche nonno.
Aveva tanti tavolini con tante cose di porcellana. E cose di porcellana anche sui mobili. E dentro ai cassetti.
Le luci facevano poca luce. E non c’era il caminetto.
E nemmeno giochi.
Se correvo, saltavo sul letto, gridavo o giocavo ai pirati o agli indiani nonno urlava – BASTA NININ! FÀ IL BRAVO!
Non so.
Mamma era strana.
Quando ho sentito papà al telefono gli ho detto di portare dei fiori a mamma.
Così a posto.
Mi ha detto – sì.
Ma alla fine niente.
Credo.
Alla nuova scuola era tutto diverso.
Avevamo gli armadietti. I banchi verdi. Il cortile senza alberi.
Non c’era il Premio del Pranzo.
E nemmeno Sorriso-Grazioso.
Prima di partire sono andato a salutarla.
Si è arrabbiata ed è corsa via.
Non mi ha mai salutato.
E poi volevo rispondere giusto alle domande.
Quelle sulle macchie a forma di gallina. E sulla famiglia allo zoo.
Perché ero piccolo.
Piccolo.
Ma io lo sapevo a cosa servivano.
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A 11 anni volevo la maglia mimetica militare bianca, grigia e nera.
I jeans azzurri un po’ larghi.
I capelli tirati su con il gel.
E lo zaino blu dell’Invicta con il walkman incorporato.
Ero perfetto.
Ci avevo messo mesi a decidere.
Ma ero perfetto per il primo giorno delle medie.
Nessuno si è accorto.
Volevo l’album di figurine dei Power Rangers, perché ce lo avevano tutti.
E volevo essere invitato al parco dal gruppetto dei fighi della scuola.
Poi un giorno mi hanno invitato e avevo paura.
Perché non sapevo cosa si faceva.
Ma alla fine ok.
Neanche loro.
Volevo stare con mamma.
Non solo lunedì, mercoledì, venerdì e weekend alternati.
Anche se dormivamo nella casa vuota di un’amica. Su un materasso buttato per terra.
Senza tv.
Solo una palla di spugna gialla.
Già.
Volevo stare con mamma.
Anche se mi dava vestiti troppo grandi dei figli degli amici.
Con toppe sui buchi.
E tutti mi prendevano in giro.
Sì.
Anche se faceva due lavori e non c’era mai.
Da papà non mi piaceva.
C’era una nuova signora con due figlie antipatiche.
E regole per cosa dire, come muoversi, quando essere allegri, quando stare zitti.
E poi papà parlava male di mamma.
Non mi piaceva.
Anche se papà mi faceva tanti regali. Come lo zaino blu dell’Invicta con il walkman incorporato.
No.
Non mi piaceva.
Non era casa mia.
Invece quella vuota dell’amica di mamma sì.
Quella sì.
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A 15 anni volevo che la smettessero di cagarmi il cazzo.
La scuola perché non andavo a scuola.
Mia madre perché non studiavo, tagliavo, facevo tardi.
Mio padre perché respiravo. E perché mi ero fatto i dread.
Mollatemi cazzo!
Volevo la Play.
E poi volevo uscire con Punkabbestia.
Avevo conosciuto Punkabbestia sul tram mentre andavamo a scuola.
Era simpatica.
Con un sacco di roba metallica nei dread. Nello zaino. Nei vestiti.
Abitava nella casa a fianco.
Tutti i giorni la vedevo dalla finestra portare in giro il cane.
E allora scendevo di corsa. La salutavo. E facevo finta che stavo andando a comprare la Mega Torta Bomba al supermercato. Così potevo fare un giro con lei.
Alla fine siamo diventati amici.
Lei si è messa con un tipo.
E io le ho regalato un coniglio.
Volevo prendere a schiaffi i tipi che sono venuti a pignorarci le quattro cazzate che avevamo.
Io e mia madre abbiamo spostato alcune cose in camera mia. Nella stanza di un minore non potevano toccare.
Poi siamo rimasti lì. A guardarli.
Dopo mia madre è andata in bagno.
L’ho sentita piangere.
Piangere forte.
Forte.
Forte.
Credo avesse pianto altre volte.
Ma io non l’avevo mai sentita.
E poi a 15 anni volevo spaccare la testa a quel pagliaccio del cazzo.
Prenderlo a calci.
Sputargli in faccia.
Perché io non ricordavo. Non sapevo.
Ma sì.
Alla fine sotto sotto mi sa di sì.
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A 18 anni volevo chupiti rum e pera a 1 euro.
Happy hour con due medie a 5.
Erba buona a 7. Ma la trovavo a 10.
Così ho iniziato a spacciare.
Volevo ballare dancehall fino all’alba.
Essere promosso senza andare a scuola.
La patente.
E stare con Fashion per sempre.
Volevo sapere.
E a 18 anni ho saputo.
La sera ero in ospedale con una mano rotta.
Mio padre era in un altro ospedale.
Messo peggio.
Non l’ho mai più visto.
Il giorno dopo ho fatto il mio primo tatuaggio.
Ho chiesto a Punkabbestia di accompagnarmi.
Fashion si è arrabbiata.
Molto.
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A 20 anni volevo autonomia.
Libertà.
E anche vincere il campionato di hitball.
Ho lasciato Fashion.
Non ero capace. E nemmeno i miei amici.
Così ho improvvisato.
Siamo andati nel nostro ristorante. Quello del primo appuntamento vero.
E gliel’ho detto. Con grande tatto. Prendendola alla lontana. Mentre mangiava vitello tonnato.
Ha pianto. Urlato.
Tutti mi guardavano schifati.
Il cameriere ha portato il brasato con le patate e ha detto – tutto ok signorina?
Per fortuna ha detto sì.
Poi ha ancora pianto.
Supplicato.
Mi ha fatto molta impressione.
Nessuno aveva mai pianto per me.
Alla crostata di nocciole eravamo tornati insieme.
Volevo andare a vivere con il mio amico Capellone.
Mi servivano soldi.
Sono passato dai grammi agli etti.
Dagli etti ai chili.
Poi sono andato a vivere con Capellone.
Mia madre mi ha dato una busta con posate, piatti e altra roba per iniziare.
Dentro c’era anche Pandino.
– Nel caso di notte facesse troppo buio.
Credo fosse qualcosa tipo rito di passaggio. Da ragazzo a uomo. O cose del genere. Cose da mamme.
Non so.
Ho lasciato Fashion.
Questa volta a casa.
Questa volta sapendo cosa aspettarmi.
Ha funzionato.
E poi volevo baciare Punkabbestia.
Alla fattoria.
Il giorno che avevamo portato il coniglio per la pensione.
Era tutto perfetto.
Il lago. Il tramonto. L’arietta.
Eravamo abbracciati sul prato.
Ci siamo guardati.
E ho cambiato idea.
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A 22 anni volevo quello che ti insegnano a volere.
Stabilità.
Una casa. Un lavoro. Una compagna.
Stabilità.
Mi sono messo con Fantastica.
Abbiamo preso una casa fantastica.
Con dei pavimenti fantastici.
Dei mobili fantastici.
E un fantastico gatto.
Poi due.
Due fantastici gatti a pari merito di fantasticità.
Ho smesso di spacciare.
Il fatto che stessero arrestando tutti i miei amici ha aiutato.
E poi troppo delirio.
Stabilità.
Non volevo altro.
Mi sono iscritto al fantastico Suism.
Poi a Storia, o come cazzo si chiamava. Tipo Società e Culture di qualcosa.
Ho anche trovato qualche lavoretto fantastico.
Insegnante di hitball.
Commesso alla Diesel.
Operatore call center all’Enel.
Sveglia presto.
Studio.
Lavoro.
E la sera cena sul divano davanti a un film.
Forse addirittura una scopata ogni tanto.
Fantastico.
Tutto fantastico.
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A 25 anni volevo costruire un buon range di difesa vs cbet 33% pot in RFI BB vs CO.
GTO.
Per intenderci.
La storia della stabilità non faceva per me.
Proprio no.
Ho lasciato l’università. Storia o come cazzo si chiamava.
Ho lasciato il lavoro al call center.
La casa.
L’hitball.
Gli amici.
Fantastica.
No.
Fantastica no.
Ci siamo trascinati ancora qualche anno.
Ma quello è stato il momento.
Già.
A 25 anni ho iniziato a girare l’Europa con Pandino.
Poker.
Sticazzi la stabilità.
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26 anni.
Poker.
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27.
Poker.
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28.
Poker. Poker. Poker.
E Shaboo.
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29.
PokShaboo.
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30.
Shaboo.
Shaboo. Shaboo. Shaboo.
Shaboo Shaboo. Shaboo. Shaboo.
Shaboo. Shaboo.
Shaboo.
Shaboo.
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31.
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A 32 anni volevo una stanza tutta mia.
Shoppino-del-Cazzo degenerava male tutte le notti.
Per sta fissa di non prendere farmaci.
E quando non degenerava era supplichevole. O bellicoso. O prima supplichevole e poi bellicoso.
A giorni alterni.
Non c’entravamo niente.
Niente.
Shoppino-del-Cazzo era solo uno shoppino del cazzo.
E poi volevo scegliere cosa fare, dove andare.
Cosa mangiare.
Ma no.
Potevi scegliere cosa mangiare solo se prendevi i farmaci per tutta la settimana.
Tipo il Premio del Pranzo.
Non era facile.
Una volta ho vinto.
Non ho avuto dubbi.
Sogliola con patate fritte.
Tutti si sono arrabbiati.
Ma Shoppino-del-Cazzo no.
Shoppino-del-Cazzo mangiava di gusto.
Forse non eravamo così diversi.
Alla fine.
Volevo Ele.
Parlarle un’ultima volta.
Dirle.
Chiederle.
Boh.
Forse solo se era esistita.
No.
Non è vero.
Queste cose, dico.
Non sono vere.
Magari solo ogni tanto.
Quando le urla di Shoppino-del-Cazzo non mi facevano dormire.
Ma no.
Occhiali-Zarri.
Nient’altro.
Non volevo nient’altro.
Non per lui.
Per me.
Per non sentirmi più così.
Perché lo sapevo.
Anche se Ele diceva di no.
Lo sapevo che era colpa mia.
Sì.
Alla fine mi sa di sì.
Sono peggio di Shoppino-del-Cazzo.
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A 35 anni volevo darci un taglio.
Abbiamo fatto una bella festa.
C’erano tutti.
Tutti.
Tranne Ele.
Ma Ele forse non esisteva.
E Occhiali-Zarri.
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Ma Occhiali-Zarri.
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Abbiamo mangiato. Bevuto.
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Finto che il mio ritiro fosse prematuro.
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È stato bello.
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E poi tekno.
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Tekno.
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Mangiato. Bevuto.
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Tekno.
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Bevuto. Bevuto.
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Tekno.
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Mi sono seduto su un divanetto.
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Tekno.
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Era la scelta giusta.
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Negli ultimi anni mi ero solo trascinato.
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Tra attacchi di panico.
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Shaboo.
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Astinenza.
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Shaboo.
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E poi.
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Questo.
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Era diventato impossibile pensare. Dormire. Vivere.
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No.
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Non ce la facevo più.
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No.
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Anche se cazzo…
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Sono andato in bagno.
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Ho chiuso la porta a chiave.
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Mi sono seduto sul cesso.
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E ho pianto.
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Pianto.
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Senza farmi sentire.
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Come mi aveva insegnato mamma.
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A 36 anni volevo riprovarci.
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Con la storia della stabilità, dico.
Vedevo gli altri felici.
No.
Felici è troppo.
Sereni.
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E poi era passato tempo.
Sì.
Riprovarci ci stava.
Sono tornato a casa.
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Cioè.
Nella mia città.
Ho trovato un lavoro normale.
Con orari. Ferie.
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E tutte quelle cose lì.
Una casa.
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Addirittura una ragazza.
La sera filmetto, pranzo all’indiano.
Giochi in scatola con gli amici.
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Ogni tanto una cena da mia madre.
Punkabbestia e Capellone ancora mi volevano bene.
Già.
Ma solo loro.
E solo perché non sapevano cosa avevo fatto.
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Non gliel’ho mai detto davvero.
Avevo paura di rimanere solo.
Ho rivisto mio padre.
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Lo so.
Beh, ho mentito.
Forse perché era quello che avrei voluto.
Ma comunque.
L’ho rivisto.
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Era stronzo. Più stronzo di prima.
E vecchio.
E non aveva imparato nulla.
Non mi ha fatto rabbia.
Solo pena.
Stabilità.
Forse non è così male.
Alla fine.
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A 38 anni volevo tekno e Gin Tonic.
O tekno e Pastis.
O tekno e Coca e Jack.
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No.
Dai.
Non esageriamo.
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Qualche volta anche una dancehall.
La storia della stabilità era durata poco.
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Ah.
Ero di nuovo single.
Ho tenuto il lavoro normale.
Non so perché.
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Forse solo per non degenerare del tutto.
Forse solo per avere qualcosa da dire.
Una sera la vedo.
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Fantastica. La ragazza dei gatti.
Aveva un vestitino etnico e accanto un tipo.
Portava a spasso un passeggino.
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Abbiamo incrociato lo sguardo.
Si è fermata.
Di colpo.
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Immobile.
Il primo bacio sul divano con “Cose Preziose” in sottofondo.
Saltare su divani e letti da Mobilandia per decidere quali prendere per la casa nuova.
Le risate quando sbagliavo a stendere la pizza.
La tisanina curcuma e zenzero mentre scrivevo i miei racconti. Le carezze mentre scrivevi i tuoi.
Svegliarmi con te che russavi accasciata sul mio braccio, e i gatti sulla pancia.
I massaggi con l’olio di mandorle e poi fare l’amore guardandoci negli occhi.
Dottor House fino a che non mi si addormentava il braccio.
Le forbici con cui mi hai tagliato i dread in salotto.
I ti amo.
Il profumo della torta al cioccolato che mi preparavi quando il poker andava male.
Le cene al nostro sushi preferito, i balli stupidi in casa, le vocine.
Il suono delle tue risate rumorose e sguaiate.
Il colore del
Un piedino si agita dal passeggino.
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Abbassi lo sguardo.
Tranquillizzi i piedini.
Torni a fissarmi.
Ti faccio il mio solito occhiolino.
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Sorridi.
Sorrido.
Accendo la canna.
Mi volto.
Ordino un altro Negroni.
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39.
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Ho 39 anni.
Ora.
Adesso.
A 39 anni voglio.
Voglio.
Voglio.
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Quello che volevo a 39 anni lo scoprirò tra qualche anno.
Mi sa.
Nel frattempo è stato un bel delirio.
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Sono stato triste.
Qualche volta felice.
Come tutti, credo.
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Anche se poi.
Boh.
Non so.
Non è poi chissà che.
La sera mi chiudo a chiave per andare a dormire.
Con Pandino sul comodino accanto al letto.
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Perchè 39 sembrano tanti.
Tanti.
Ma io qualche volta ho ancora paura del buio.
C’è una cosa che proprio non capisco di tutta questa storia.
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Ma alla fine.
Sorriso-Grazioso.
Ecco.
Dico.
Alla fine.
Era innamorata di me?
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